The formal and substantial equalization of the parties in a contractual relationships, a fundamental principle of civil law, is excluded in the working relationship, which is characterized by a position of supremacy of the employer. The dismissal, individual or collective, and the resignation synthesize the power relations between the employer and the worker better than all the other regulatory schemes of labour law; the legislator has been driven to intervene specializing the rules, to face the contractual under security of the worker, needful of a brake to the overwhelming power of the employer. In reality, the rules about dismissals is not completely out of the common rules of contacts, but there is a continual coming and going to civil law. Somebody claims that labour law depends anyway on civil law; on the contrary others consider there is no “dependence” but an evident “specialty” or else “autonomy”, so that it's possible to discuss about a general theory of labour law. The dismissal represents the emblem of such an evolutionary process. The a latere datoris recess must be considered a special form of recess from the relationship, not having equals in civil law, especially referring to the system of protections, diversified by given objective and subjective criteria; the mandatory protection; the real protection; the real protection of civil law; the protection in case of ad nutum dismissal. The specialty of the dismissal rules concerns the system of guarantees that orders a continuous comparison with civil law, in an essentially diachronic logic. But from this relation, two problems traditionally emerge: on one side, the comparison between the protection level granted to the worker and that one provided by the civil code in favour of any contracting party; on the other side, the interaction, not always simple, between the protection techniques established for the dependent worker and those ones provided by the civil code. In a continuous comparison between labour law and civil law, then it's useful to evaluate the rules of the dismissal, and especially the rules of the so called real stability, in order to their effectiveness. The specialization, sometimes excessive, of some general principles of the contracts law induces to doubt that the protection of the wrongful dismissed worker isn't no longer fit to fully guarantee his rights, privileging, also under the push of the reform of the 1990, the economic aspect of the right to work rather than the social one (referring to the indemnifying protection in case of missing reinstatement). The specialization of some general principles of civil law determined a jagged normative corpus, not homogeneous, where an evident disparity between the various categories of subjects (there are different protections for the dismissed workers) and an inevitable substantially economic protection, that is the common denominator of the various hypothesis regulated by the legislator, have been considered legal. The reform of the 1990, on the contrary, the unification of the indemnifying protection for the previous and the successive period to the judgment, and the introduction of the allowance replacing the reinstatement, overturn the relation between the foretold protections: the valuation in money of the relationship prevails on the “job”, weakening the restoring protection, and the efforts of the doctrine to find a remedy to this situation faced the resistance of the case law, strongly anchored to a literal interpretation of the Art. 18. The specialization of the labour law, anyway, allowed the consecration of the constitutionally guaranteed right of the worker to the preservation of his job (not regarded as “fixed job” but as a right to being deprived of it only for proven reasons), so to stability meant as a “value”, which mustn't be removed as an obstacle to the increasing of the employment, as a promotional measure of law policy that is strengthened and made completely effective, avoiding the paradox that the protection of stability is so “strong” that it must be softened in favour of the weak subjects, in a logic of solidarity. The protection provided by Art. 18 is “strong” in its purposes, but without its ability to satisfy completely the interests of the people it preserves, it may remain a flatus vocis. Once the idea of stability is accepted as a “value”, not in antithesis with the flexibility, job has to be put at the centre of the protection as a social right of the worker, placing the patrimonial protection in a complementary or residual position, preferring it only when the work misses ab origine. So, it's necessary to go back and discuss not only about art. 18 and the complementary protection, in a logic of normative efficiency of labour law, introducing measures of indirect coercion and reforming the labour trial, but also about the bigger frame where the rule acts (in primis, labour market), because, apart from any critical evaluation, it's undeniable that stability has a outside contractual effect of warrantee of the global system.

L’equiparazione formale e sostanziale delle parti nel rapporto contrattuale, principio cardine del diritto comune, trova una deroga nel rapporto di lavoro, caratterizzato da una posizione di supremazia del datore di lavoro. Il licenziamento, individuale e collettivo, e le dimissioni meglio di tutti gli altri istituti del diritto del lavoro sintetizzano il rapporto di potere tra datore di lavoro e lavoratore, spingendo continuamente il legislatore ad intervenire, di fatto specializzando la normativa, per far fronte alla sottoprotezione contrattuale del lavoratore, bisognoso di una tutela che ponesse un freno allo strapotere del datore di lavoro. In realtà, la disciplina del licenziamento non è totalmente avulsa dalle regole comuni dei contratti, registrandosi, infatti, un continuo andirivieni dal e verso il diritto civile. Certo v’è chi sostiene che il diritto del lavoro comunque dipenda dal diritto civile; altri, invece, ritengono non v’è <<dipendenza>>, ma un’evidente <<specialità>>, se non proprio <<autonomia>>, al punto che, forse, sono maturi i tempi per ragionare di una teoria generale del diritto del lavoro. L’istituto del licenziamento rappresenta l’emblema di tale processo evolutivo. Il recesso a latere datoris deve essere considerato una speciale forma di recesso dal rapporto, non avendo eguali nel diritto civile, soprattutto con riferimento al sistema di tutele, diversificate sulla base di specifici criteri oggettivi e soggettivi: la tutela obbligatoria; la tutela reale; la tutela reale di diritto comune; la tutela in caso di licenziamento ad nutum. La specialità della disciplina del licenziamento riguarda, quindi, proprio il sistema di garanzie, che impone un continuo confronto col diritto civile, in una logica essenzialmente diacronica. Da tale rapporto, però, emergono tradizionalmente due problematiche e, cioè, da un lato, il confronto tra il livello di tutela accordato al lavoratore rispetto a quello previsto dal codice civile in favore di qualsivoglia contraente; dall’altro lato, l’interazione, non sempre facile, tra le tecniche di tutela predisposte in favore del lavoratore subordinato e quelle approntate dal codice civile. In un continuo confronto tra il diritto del lavoro e il diritto civile è utile, allora, sottoporre la disciplina del licenziamento e, in particolar modo, quella della cd. stabilità stabilità reale, ad una valutazione in ordine alla sua effettività. La specializzazione, in alcuni casi eccessiva, di alcuni dei principi generali del diritto dei contratti, fa sorgere il ragionevole dubbio che le tutele del lavoratore illegittimamente licenziato non siano più idonee a garantire integralmente i suoi diritti, privilegiando, anche sulla spinta della riforma del 1990, l’aspetto economico del diritto al lavoro piuttosto che quello sociale (si allude alla tutela meramente risarcitoria in caso di mancata reintegra). La specializzazione di alcuni principi generali del diritto civile ha determinato un corpus normativo frastagliato, non omogeneo, dove è stata ritenuta legittima un’evidente diseguaglianza tra le varie categorie di soggetti (vi sono, infatti, tutele diversificate in favore del lavoratore licenziato) ed una inevitabile tutela sostanzialmente di tipo economico, che costituisce il comune denominatore delle varie ipotesi disciplinate del legislatore. La Costituzione riconosce il diritto al lavoro come bene giuridico primario del lavoratore e l’art. 18 St. lav. dovrebbe rappresentare l’attuazione di tale garanzia, quale strumento di riequilibrio dei poteri all’interno del rapporto individuale di lavoro. E tale era sino al 1990, dove la reintegrazione in forma specifica costituiva la tutela principale, garantita sia direttamente con l’ordine di ripristino della funzionalità del rapporto, sia indirettamente, attraverso la previsione del diritto del lavoratore alle retribuzioni, quale sanzione per l’inottemperanza del datore di lavoro all’ordine giudiziale di ripristino della funzionalità del rapporto. Quest’ultima, quindi, rappresentava una misura di coercizione indiretta necessaria per fronteggiare l’ostacolo insuperabile dell’incoercibilità dell’obbligo del datore di lavoro di far lavorare il lavoratore, tesa a confermare la supremazia della reintegrazione in forma specifica sul risarcimento per equivalente, nel rispetto dei principi generali del diritto comune in tema di responsabilità contrattuale. Con la riforma del ’90, invece, e con l’unificazione della tutela risarcitoria per il periodo sia precedente sia successivo alla sentenza e con l’introduzione dell’indennità sostitutiva della reintegrazione, il rapporto tra le predette tutele si è capovolto: la monetizzazione del rapporto prevale sul bene giuridico <<posto di lavoro>>, di fatto indebolendo la tutela ripristinatoria, e i tentativi della dottrina di trovare un rimedio a tale situazione hanno dovuto fare i conti con la resistenza della giurisprudenza, ancorata con forza, nel caso di specie, all’interpretazione letterale dell’art. 18. La specializzazione del diritto del lavoro, in ogni caso, ha permesso la consacrazione del diritto del lavoratore, costituzionalmente garantito, alla conservazione del posto di lavoro (valutato, però, non come <<posto fisso>>, ma come diritto a non esserne privato se non per comprovate ragioni), quindi, alla stabilità, intesa come <<valore>>, che non deve essere eliminata perché di ostacolo all’aumento dell’occupazione, quale misura di politica di diritto di tipo promozionale, ma rinvigorita e resa compiutamente effettiva, per evitare di cadere nel paradosso che la tutela della stabilità del posto di lavoro è talmente <<forte>> che deve essere attenuata in una logica solidaristica in favore dei soggetti deboli. La tutela sub art. 18 è <<forte>> negli intenti, ma senza la sua idoneità a soddisfare compiutamente gli interessi dei soggetti da essa protetti rischia di rimanere un flatus vocis. Una volta accettata, allora, l’idea della stabilità come <<valore>>, non in antitesi rispetto alla flessibilità, al centro della tutela deve essere collocato il posto di lavoro, quale diritto sociale del lavoratore, ponendo la tutela patrimoniale in una posizione di complementarietà o residualità, dovendo essere preferita soltanto nelle ipotesi in cui il diritto al posto di lavoro manca ab origine. Per ottenere questo è evidente che occorre ritornare a discutere non solo dell’art. 18 e delle tutela complementari, in una logica di efficienza regolativa del diritto del lavoro, attraverso l’introduzione di misure di coercizione indiretta e una riforma del processo del lavoro, ma anche del quadro più complessivo nel quale tale norma si trova ad operare (in primis, mercato del lavoro), in quanto, a prescindere da ogni valutazione critica, è innegabile che la stabilità ha un effetto esocontrattuale di garanzia del sistema complessivo.

RECESSO DAL RAPPORTO E TUTELA DEL LAVORATORE: LA SPECIALITA' DEL DIRITTO DEL LAVORO / Garofalo, Raffaele. - (2010 Jan 12).

RECESSO DAL RAPPORTO E TUTELA DEL LAVORATORE: LA SPECIALITA' DEL DIRITTO DEL LAVORO

Garofalo, Raffaele
2010

Abstract

L’equiparazione formale e sostanziale delle parti nel rapporto contrattuale, principio cardine del diritto comune, trova una deroga nel rapporto di lavoro, caratterizzato da una posizione di supremazia del datore di lavoro. Il licenziamento, individuale e collettivo, e le dimissioni meglio di tutti gli altri istituti del diritto del lavoro sintetizzano il rapporto di potere tra datore di lavoro e lavoratore, spingendo continuamente il legislatore ad intervenire, di fatto specializzando la normativa, per far fronte alla sottoprotezione contrattuale del lavoratore, bisognoso di una tutela che ponesse un freno allo strapotere del datore di lavoro. In realtà, la disciplina del licenziamento non è totalmente avulsa dalle regole comuni dei contratti, registrandosi, infatti, un continuo andirivieni dal e verso il diritto civile. Certo v’è chi sostiene che il diritto del lavoro comunque dipenda dal diritto civile; altri, invece, ritengono non v’è <>, ma un’evidente <>, se non proprio <>, al punto che, forse, sono maturi i tempi per ragionare di una teoria generale del diritto del lavoro. L’istituto del licenziamento rappresenta l’emblema di tale processo evolutivo. Il recesso a latere datoris deve essere considerato una speciale forma di recesso dal rapporto, non avendo eguali nel diritto civile, soprattutto con riferimento al sistema di tutele, diversificate sulla base di specifici criteri oggettivi e soggettivi: la tutela obbligatoria; la tutela reale; la tutela reale di diritto comune; la tutela in caso di licenziamento ad nutum. La specialità della disciplina del licenziamento riguarda, quindi, proprio il sistema di garanzie, che impone un continuo confronto col diritto civile, in una logica essenzialmente diacronica. Da tale rapporto, però, emergono tradizionalmente due problematiche e, cioè, da un lato, il confronto tra il livello di tutela accordato al lavoratore rispetto a quello previsto dal codice civile in favore di qualsivoglia contraente; dall’altro lato, l’interazione, non sempre facile, tra le tecniche di tutela predisposte in favore del lavoratore subordinato e quelle approntate dal codice civile. In un continuo confronto tra il diritto del lavoro e il diritto civile è utile, allora, sottoporre la disciplina del licenziamento e, in particolar modo, quella della cd. stabilità stabilità reale, ad una valutazione in ordine alla sua effettività. La specializzazione, in alcuni casi eccessiva, di alcuni dei principi generali del diritto dei contratti, fa sorgere il ragionevole dubbio che le tutele del lavoratore illegittimamente licenziato non siano più idonee a garantire integralmente i suoi diritti, privilegiando, anche sulla spinta della riforma del 1990, l’aspetto economico del diritto al lavoro piuttosto che quello sociale (si allude alla tutela meramente risarcitoria in caso di mancata reintegra). La specializzazione di alcuni principi generali del diritto civile ha determinato un corpus normativo frastagliato, non omogeneo, dove è stata ritenuta legittima un’evidente diseguaglianza tra le varie categorie di soggetti (vi sono, infatti, tutele diversificate in favore del lavoratore licenziato) ed una inevitabile tutela sostanzialmente di tipo economico, che costituisce il comune denominatore delle varie ipotesi disciplinate del legislatore. La Costituzione riconosce il diritto al lavoro come bene giuridico primario del lavoratore e l’art. 18 St. lav. dovrebbe rappresentare l’attuazione di tale garanzia, quale strumento di riequilibrio dei poteri all’interno del rapporto individuale di lavoro. E tale era sino al 1990, dove la reintegrazione in forma specifica costituiva la tutela principale, garantita sia direttamente con l’ordine di ripristino della funzionalità del rapporto, sia indirettamente, attraverso la previsione del diritto del lavoratore alle retribuzioni, quale sanzione per l’inottemperanza del datore di lavoro all’ordine giudiziale di ripristino della funzionalità del rapporto. Quest’ultima, quindi, rappresentava una misura di coercizione indiretta necessaria per fronteggiare l’ostacolo insuperabile dell’incoercibilità dell’obbligo del datore di lavoro di far lavorare il lavoratore, tesa a confermare la supremazia della reintegrazione in forma specifica sul risarcimento per equivalente, nel rispetto dei principi generali del diritto comune in tema di responsabilità contrattuale. Con la riforma del ’90, invece, e con l’unificazione della tutela risarcitoria per il periodo sia precedente sia successivo alla sentenza e con l’introduzione dell’indennità sostitutiva della reintegrazione, il rapporto tra le predette tutele si è capovolto: la monetizzazione del rapporto prevale sul bene giuridico <>, di fatto indebolendo la tutela ripristinatoria, e i tentativi della dottrina di trovare un rimedio a tale situazione hanno dovuto fare i conti con la resistenza della giurisprudenza, ancorata con forza, nel caso di specie, all’interpretazione letterale dell’art. 18. La specializzazione del diritto del lavoro, in ogni caso, ha permesso la consacrazione del diritto del lavoratore, costituzionalmente garantito, alla conservazione del posto di lavoro (valutato, però, non come <>, ma come diritto a non esserne privato se non per comprovate ragioni), quindi, alla stabilità, intesa come <>, che non deve essere eliminata perché di ostacolo all’aumento dell’occupazione, quale misura di politica di diritto di tipo promozionale, ma rinvigorita e resa compiutamente effettiva, per evitare di cadere nel paradosso che la tutela della stabilità del posto di lavoro è talmente <> che deve essere attenuata in una logica solidaristica in favore dei soggetti deboli. La tutela sub art. 18 è <> negli intenti, ma senza la sua idoneità a soddisfare compiutamente gli interessi dei soggetti da essa protetti rischia di rimanere un flatus vocis. Una volta accettata, allora, l’idea della stabilità come <>, non in antitesi rispetto alla flessibilità, al centro della tutela deve essere collocato il posto di lavoro, quale diritto sociale del lavoratore, ponendo la tutela patrimoniale in una posizione di complementarietà o residualità, dovendo essere preferita soltanto nelle ipotesi in cui il diritto al posto di lavoro manca ab origine. Per ottenere questo è evidente che occorre ritornare a discutere non solo dell’art. 18 e delle tutela complementari, in una logica di efficienza regolativa del diritto del lavoro, attraverso l’introduzione di misure di coercizione indiretta e una riforma del processo del lavoro, ma anche del quadro più complessivo nel quale tale norma si trova ad operare (in primis, mercato del lavoro), in quanto, a prescindere da ogni valutazione critica, è innegabile che la stabilità ha un effetto esocontrattuale di garanzia del sistema complessivo.
12-gen-2010
The formal and substantial equalization of the parties in a contractual relationships, a fundamental principle of civil law, is excluded in the working relationship, which is characterized by a position of supremacy of the employer. The dismissal, individual or collective, and the resignation synthesize the power relations between the employer and the worker better than all the other regulatory schemes of labour law; the legislator has been driven to intervene specializing the rules, to face the contractual under security of the worker, needful of a brake to the overwhelming power of the employer. In reality, the rules about dismissals is not completely out of the common rules of contacts, but there is a continual coming and going to civil law. Somebody claims that labour law depends anyway on civil law; on the contrary others consider there is no “dependence” but an evident “specialty” or else “autonomy”, so that it's possible to discuss about a general theory of labour law. The dismissal represents the emblem of such an evolutionary process. The a latere datoris recess must be considered a special form of recess from the relationship, not having equals in civil law, especially referring to the system of protections, diversified by given objective and subjective criteria; the mandatory protection; the real protection; the real protection of civil law; the protection in case of ad nutum dismissal. The specialty of the dismissal rules concerns the system of guarantees that orders a continuous comparison with civil law, in an essentially diachronic logic. But from this relation, two problems traditionally emerge: on one side, the comparison between the protection level granted to the worker and that one provided by the civil code in favour of any contracting party; on the other side, the interaction, not always simple, between the protection techniques established for the dependent worker and those ones provided by the civil code. In a continuous comparison between labour law and civil law, then it's useful to evaluate the rules of the dismissal, and especially the rules of the so called real stability, in order to their effectiveness. The specialization, sometimes excessive, of some general principles of the contracts law induces to doubt that the protection of the wrongful dismissed worker isn't no longer fit to fully guarantee his rights, privileging, also under the push of the reform of the 1990, the economic aspect of the right to work rather than the social one (referring to the indemnifying protection in case of missing reinstatement). The specialization of some general principles of civil law determined a jagged normative corpus, not homogeneous, where an evident disparity between the various categories of subjects (there are different protections for the dismissed workers) and an inevitable substantially economic protection, that is the common denominator of the various hypothesis regulated by the legislator, have been considered legal. The reform of the 1990, on the contrary, the unification of the indemnifying protection for the previous and the successive period to the judgment, and the introduction of the allowance replacing the reinstatement, overturn the relation between the foretold protections: the valuation in money of the relationship prevails on the “job”, weakening the restoring protection, and the efforts of the doctrine to find a remedy to this situation faced the resistance of the case law, strongly anchored to a literal interpretation of the Art. 18. The specialization of the labour law, anyway, allowed the consecration of the constitutionally guaranteed right of the worker to the preservation of his job (not regarded as “fixed job” but as a right to being deprived of it only for proven reasons), so to stability meant as a “value”, which mustn't be removed as an obstacle to the increasing of the employment, as a promotional measure of law policy that is strengthened and made completely effective, avoiding the paradox that the protection of stability is so “strong” that it must be softened in favour of the weak subjects, in a logic of solidarity. The protection provided by Art. 18 is “strong” in its purposes, but without its ability to satisfy completely the interests of the people it preserves, it may remain a flatus vocis. Once the idea of stability is accepted as a “value”, not in antithesis with the flexibility, job has to be put at the centre of the protection as a social right of the worker, placing the patrimonial protection in a complementary or residual position, preferring it only when the work misses ab origine. So, it's necessary to go back and discuss not only about art. 18 and the complementary protection, in a logic of normative efficiency of labour law, introducing measures of indirect coercion and reforming the labour trial, but also about the bigger frame where the rule acts (in primis, labour market), because, apart from any critical evaluation, it's undeniable that stability has a outside contractual effect of warrantee of the global system.
recesso dal rapporto di lavoro
RECESSO DAL RAPPORTO E TUTELA DEL LAVORATORE: LA SPECIALITA' DEL DIRITTO DEL LAVORO / Garofalo, Raffaele. - (2010 Jan 12).
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